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Pietro Germi attore, sceneggiatore e regista. Nativo di Genova, unico maschio dopo tre sorelle, rimane orfano di padre quando ha solo 10 anni. Germi frequenta per tre anni l’Istituto Nautico, senza conseguire il diploma. Trasferitosi a Roma studia recitazione e regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, nel frattempo per mantenersi agli studi, lavora in piccole produzioni cinematografiche in vari ruoli: attore, assistente alla regia, sceneggiatore.
Debutta alla regia nel 1946 con il film “Il Testimone” di cui firma anche il soggetto, un giallo psicologico del tutto insolito nel panorama “neoralista”.
Segue un poliziesco “Gioventù perduta” (1947) e un film di ispirazione western ambientato nella Sicilia mafiosa intitolato “In nome della legge” (1949) co-sceneggiato con Federico Fellini, con il quale riscuote subito i favori di critica e pubblico.
Sull’onda del successo dirige “Il cammino della speranza” (1950) nuovamente co-sceneggiato da Federico Fellini, che gli vale l’Orso d’argento al Festival di Berlino.
Seguono “La città si difende” (1951) il primo film poliziottesco italiano, “Il brigante di Tacca del Lupo” (1952); “La presidentessa” (1952); “Gelosia” (1953); “Amori di mezzo secolo” (1954).
Nel 1956, dopo aver pensato a Spencer Tracy come protagonista decide di interpretare lui stesso il ruolo principale ne “Il ferroviere” (1956), oltre a firmarne la regia, scelta ripetuta anche nei successivi “L’uomo di paglia” (1958) e Un maledetto imbroglio (1959).
Abbandonato il melodramma, passa al registro grottesco e satirico della commedia, centrando subito il bersaglio con “Divorzio all’italiana” (1961), per il quale vince l’Oscar come miglior sceneggiatura (scritta insieme a Alfredo Giannetti e Ennio De Concini). Sotto la lente dissacrante della satira di costume, mette a nudo vizi: moralismi e virtù dell’Italiano medio, formula che adotta anche nei successivi “Sedotta e abbandonata” (1964), “Signore e signori” (1965) e “L’immortale” (1967).
Per i due film successivi sceglie due beniamini della musica italiana, Adriano Celentano “Serafino” (1968) e Gianni Morandi “Le castagne sono buone” (1970).
All’inizio degl’anni ’70 Germi si ammala di cirrosi epatica, ma la malattia non gli impedisce di dirigere Dustin Hoffman in “Alfredo Alfredo” (1972) e ideare una delle più grandi commedie del cinema italiano “Amici miei” (1975), per poi morire prematuramente per una affezione epatica, il primo giorno delle riprese, lasciando la regia a Mario Monicelli.
Pietro Germi attore, sceneggiatore e regista. Nativo di Genova, unico maschio dopo tre sorelle, rimane orfano di padre quando ha solo 10 anni. Germi frequenta per tre anni l’Istituto Nautico, senza conseguire il diploma. Trasferitosi a Roma studia recitazione e regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, nel frattempo per mantenersi agli studi, lavora in piccole produzioni cinematografiche in vari ruoli: attore, assistente alla regia, sceneggiatore.
Debutta alla regia nel 1946 con il film “Il Testimone” di cui firma anche il soggetto, un giallo psicologico del tutto insolito nel panorama “neoralista”.
Segue un poliziesco “Gioventù perduta” (1947) e un film di ispirazione western ambientato nella Sicilia mafiosa ”In nome della legge” (1949) co-sceneggiato con Federico Fellini, con il quale riscuote subito i favori di critica e pubblico.
Sull’onda del successo dirige “Il cammino della speranza” (1950) nuovamente co-sceneggiato da Federico Fellini, che gli vale l’Orso d’argento al Festival di Berlino.
Seguono “La città si difende” (1951) il primo film poliziottesco italiano, “Il brigante di Tacca del Lupo” (1952); “La presidentessa” (1952); “Gelosia” (1953); “Amori di mezzo secolo” (1954).
Nel 1956, dopo aver pensato a Spencer Tracy come protagonista decide di interpretare lui stesso il ruolo principale ne “Il ferroviere” (1956), oltre a firmarne la regia, scelta ripetuta anche nei successivi “L’uomo di paglia” (1958) e Un maledetto imbroglio (1959).
Abbandonato il melodramma, passa al registro grottesco e satirico della commedia, centrando subito il bersaglio con “Divorzio all’italiana” (1961), per il quale vince l’Oscar come miglior sceneggiatura (scritta insieme a Alfredo Giannetti e Ennio De Concini). Sotto la lente dissacrante della satira di costume, mette a nudo vizi: moralismi e virtù dell’Italiano medio, formula che adotta anche nei successivi “Sedotta e abbandonata” (1964), “Signore e signori” (1965) e “L’immortale” (1967).
Per i due film successivi sceglie due beniamini della musica italiana, Adriano Celentano “Serafino” (1968) e Gianni Morandi “Le castagne sono buone” (1970).
All’inizio degl’anni ’70 Germi si ammala di cirrosi epatica, ma la malattia non gli impedisce di dirigere Dustin Hoffman in “Alfredo Alfredo” (1972) e ideare una delle più grandi commedie del cinema italiano “Amici miei” (1975), per poi morire prematuramente per una affezione epatica, il primo giorno delle riprese, lasciando la regia a Mario Monicelli.